di Alfredo Pece
La prevenzione primaria consiste nell’adottare uno stile di vita salutare con dieta adeguata e attività fisica moderata, atta a controllare il sovrappeso contrastando gli stili di vita sedentari. Tutto ciò è in grado di ridurre l’incidenza del diabete sino al 70%. Bisogna, infatti, prendere pienamente coscienza che la prevenzione dell’obesità e del diabete comincia nella quotidianità, come ad esempio “a tavola”, promuovendo non la cultura della privazione, bensì la cultura di una sana e corretta terapia dietetica-nutrizionale, affidata a specialisti2. Inoltre è necessario studiare una strategia specifica per combattere quello che è stato definito “Urban Diabetes”, che non è una nuova forma di diabete, ma il fenomeno del drastico aumento della prevalenza del diabete di tipo 2 che si osserva nelle grandi città, in particolare nelle grandi metropoli, in cui prevalgono nuovi stili di vita e abitudini alimentari, i lavori diventano sempre più sedentari e l’attività fisica diminuisce. Nel 2014 è stato lanciato in Danimarca il “Cities Changing Diabetes”, un programma che si pone un obiettivo ambizioso: coinvolgere le municipalità delle principali megalopoli del mondo in una strategia di contenimento della crescita dell’Urban Diabetes. Il progetto, promosso dall’University College di Londra (UK) e dallo Steno Diabetes Center (Danimarca), è partito con un nucleo pilota di 8 megalopoli e oggi si è esteso ad un gruppo di 15.
Attualmente i paesi più sviluppati stanno mettendo in atto programmi di educazione sanitaria e di prevenzione, con sensibilizzazione sulle problematiche relative alla malattia, sui fattori di rischio e sulle possibilità di prevenzione. Come spesso accade ci si scontra con interessi economici di grande potenza ed impatto e con difficoltà enormi.
Prevediamo, tuttavia, che sia proprio lo sforzo comune dei singoli, l’impegno delle associazioni e la cultura crescente di coinvolgimento di tutti gli interessati, con attività multidisciplinari di controllo e infine anche di governi più virtuosi che in iniziative comuni possono e potranno mettere in campo modalità importanti di prevenzione.
Il primo fattore da prendere in considerazione è il controllo della glicemia, poiché nonostante i nuovi farmaci oggi disponibili, che comportano un minore rischio di incremento ponderale e ipoglicemia, molti pazienti non riescono a raggiungere i target glicemici prefissati. Il mancato controllo glicemico aumenta il rischio di co-morbilità, come le malattie cardiovascolari, l’ictus, la nefropatia e le neuropatie. Tra le possibili complicanze la retinopatia diabetica rimane, comunque, la più temuta dai pazienti diabetici, perché non trattata può portare ad una seria compromissione della funzione visiva, il che per una persona diabetica può pregiudicare gravemente la capacità di autogestione in attività quali il prepararsi le iniezioni di insulina, controllare i livelli di glucosio nel sangue ed assumere correttamente i farmaci4. Inoltre l’insorgenza della retinopatia diabetica può essere predittiva di ulteriori gravi complicanze cardiovascolari e circolatorie5,6.
La patogenesi della retinopatia diabetica e dell’edema maculare è multifattoriale, complessa e ancora non ben chiarita. L’iperglicemia causa un danno microvascolare e una rottura della barriera emato-retinica con danno ossidativo, attivazione della protein-Kinasi C e di fattori infiammatori, vasocostrizione ed ipossia. Come meccanismo di compensazione vi è una up-regolazione del VEGF e conseguente aumento della permeabilità vascolare e accumulo di fluido intraretinico. Le terapie attuali si pongono l’obiettivo del controllo dei fattori patogenetici e da qui l’uso di iniezioni intravitreali sia con steroidi che con anti VEGF. Tutti gli studi riportano la necessità di intervenire precocemente sia nella retinopatia diabetica proliferante
che in quella complicata da edema maculare. Prima interveniamo meglio riusciamo a trattare e a conservare una buona acuità visiva.
In genere i pazienti affetti da diabete sono seguiti costantemente dal medico di medicina generale e/o dal diabetologo. Per le complicanze che interessano organi specifici vengono indirizzati agli specialisti di settore, quali il cardiologo o il nefrologo. In questo contesto proprio il medico di medicina generale è chiamato a svolgere la funzione di coordinamento e di indirizzo ai colleghi specialisti del paziente diabetico nei vari stadi della malattia.
Nel caso dell’apparato visivo il medico di medicina generale deve raccomandare gli opportuni controlli periodici e indirizzare tempestivamente il paziente all’oculista ai primi segni di insorgenza delle complicanze oculari.
Il “timing” dei trattamenti in questo contesto è fondamentale, in quanto la perdita visiva dovuta all’edema maculare diabetico, la complicanza più temuta della retinopatia diabetica, in genere progredisce lentamente e, quindi, una diagnosi precoce a cui faccia seguito l’utilizzo del trattamento più appropriato può essere determinante nell’assicurare la migliore prospettiva in termini di mantenimento della funzione visiva7.
Screening frequenti e regolari permettono di identificare un edema maculare al suo esordio e di indirizzare il paziente ai medici competenti.
Può essere molto utile integrare gli oculisti in un team medico multidisciplinare che includa il diabetologo, l’internista, il medico di medicina generale ed altri specialisti. Gli obiettivi del team multidisciplinare dovrebbero essere l’adozione del trattamento più appropriato nel minor tempo possibile e la riduzione delle possibilità di complicanze, degli eventuali tempi di ospedalizzazione e dei costi dei trattamenti.
Purtroppo al momento attuale la collaborazione tra gli oftalmologi specialisti di retina e altri specialisti, quali i diabetologi, rimane spesso alquanto limitata8. Gli oculisti sono in genere ben consapevoli dell’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce, ben conoscendo la gravità della malattia e delle sue complicanze. Tutto ciò, tuttavia, spesso è vanificato dalla scarsa educazione sanitaria del paziente, dall’attitudine di alcuni medici e dalle difficoltà oggettive delle varie prestazioni. Lavorare in team multisciplinare significa, infatti, prendersi cura della persona a tutti i livelli, con diversi specialisti di altri settori, la cui integrazione organizzativa può essere molto difficile.
I tempi di attesa per visite e prestazioni nel servizio pubblico sono spesso lunghissimi e non esistono liste privilegiate ed attenzione sociale.
L’unica soluzione è avere liste dedicate e poter inserire i pazienti secondo tempistiche personalizzate. È indispensabile pensare ad una sensibilizzazione specifica della politica e dei nostri amministratori che dovrebbero riservare tempo e risorse dedicate, sia economiche che di personale, atte a garantire il miglior servizio possibile per i pazienti.
Uno schema virtuoso, che dovrebbe essere attuabile, prevede:
- rapporto con il medico di base/diabetologo bilateralmente
- accesso di pazienti diabetici all’oculista per screening
- accesso di pazienti diabetici all’oculista per visite e prestazioni varie (Fluorangiografia, OCT)
- agende prenotabili senza lunghe attese (ideale un tempo sino a 20-30 giorni)
- gestione del paziente o invio ad altri specialisti in tempi rapidi, organizzabili immediatamente
- rilascio delle terapie sia chirurgiche che laser in tempi brevi e preorganizzati
- ambulatori dedicati di secondo livello con personale specializzato
Tutto ciò si può fare
- Molti degli screening possono essere realizzati dal diabetologo con retinografie del fondo inviate via web all’oculista.
- Liste dedicate prenotabili direttamente dal diabetologo in accordo e condivisione con l’oculista
- Controllo scrupoloso dei tempi di attesa con prenotazioni “a fisarmonica”, aprendo al bisogno nuovi spazi.
Il problema più grosso è fornire le adeguate risorse umane, sempre più penalizzate dai tagli economici della sanità.
Il problema della prevenzione
- La prevenzione primaria consiste nell’adottare uno stile di vita salutare con dieta adeguata e attività fisica moderata, atta a controllare il sovrappeso contrastando gli stili di vita sedentari.
Tutto ciò è in grado di ridurre l’incidenza del diabete sino al 70%9.
Bisogna, infatti, prendere pienamente coscienza che la prevenzione dell’obesità e del diabete comincia nella quotidianità, come ad esempio “a tavola”, promuovendo non la cultura della privazione, bensì la cultura di una sana e corretta terapia dietetica-nutrizionale, affidata a specialisti2.
Inoltre è necessario studiare una strategia specifica per combattere quello che è stato definito “Urban Diabetes”, che non è una nuova forma di diabete, ma il fenomeno del drastico aumento della prevalenza del diabete di tipo 2 che si osserva nelle grandi città, in particolare nelle grandi metropoli, in cui prevalgono nuovi stili di vita e abitudini alimentari, i lavori diventano sempre più sedentari e l’attività fisica diminuisce.
Nel 2014 è stato lanciato in Danimarca il “Cities Changing Diabetes”, un programma che si pone un obiettivo ambizioso: coinvolgere le municipalità delle principali megalopoli del mondo in una strategia di contenimento della crescita dell’Urban Diabetes. Il progetto, promosso dall’University College di Londra (UK) e dallo Steno Diabetes Center (Danimarca), è partito con un nucleo pilota di 8 megalopoli e oggi si è esteso ad un gruppo di 15.
Il progetto Cities Changing Diabetes prevede tre momenti fondamentali. Il primo è rappresentato dalla mappatura dei fattori sociali e culturali. In ogni città viene promossa una ricerca qualitativa e quantitativa dalla quale emerge il livello di vulnerabilità. Il secondo è quello della condivisione dei dati a livello internazionale, fra le varie città aderenti al programma, con l’obiettivo di identificare le similitudini ed i punti di contatto. L’ultimo step del programma è la parte dedicata all’azione, con lo sviluppo di uno specifico action plan e condivisione delle best practice10.
Roma è stata inserita nel programma “Cities Changing Diabetes” nel 2017, seconda città europea dopo Copenaghen, diventando per i prossimi anni oggetto di studi internazionali su urbanizzazione e Diabete tipo 2 e nello stesso tempo città simbolo a livello mondiale nella lotta a questa importante patologia.
- La prevenzione secondaria consta nel fornire al paziente diabetico tutti gli strumenti per prevenire le complicanze, da quelle cardiovascolari a quelle oculari. Il trattamento efficace comporta il monitoraggio della glicemia, della pressione arteriosa e del livello dei lipidi nel sangue.
I dati riportati dallo studio Steno-2 attestano che, a distanza di 13 anni, in pazienti ad alto rischio con diabete di tipo 2, agendo contemporaneamente su tutti questi fattori e adottando un programma terapeutico con somministrazione di combinazioni multiple di farmaci e cambiamenti nello stile di vita, si raggiunge una riduzione fino al 50% del rischio di morte e delle complicanze più gravi del diabete11 (Fig. 3).
L’educazione all’autogestione
Il 50% delle persone con diabete ha un controllo insoddisfacente della glicemia e della pressione arteriosa. Le cause sono molte. La difficoltà psicologica di accettare la malattia e tutto quello che ne consegue, la mancanza di supporto in famiglia, la scarsa conoscenza della malattia e delle sue complicanze, la mancata comprensione del protocollo di gestione dei farmaci e dei controlli, la sfiducia nel medico o nella assistenza sanitaria, i tempi lunghi di attesa e infine problemi economici.
- incrementare la consapevolezza dei rischi del diabete, i suoi fattori di rischio le strategie di prevenzione della malattia e le sue complicanze - migliorare la conoscenza sul diabete, il suo controllo e l’autocontrollo -migliorare la sensibilizzazione presso i providers della salute in generale e promuovere un approccio alla malattia più completo ed integrato - promuovere iniziative di salute pubblica per migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti - inserire e promuovere programma di prevenzione e cura presso paesi più poveri In Italia è attualmente in vigore il Piano Nazionale sulla Malattia Diabetica del Ministero della Salute, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni il 6 dicembre 2012, in attuazione di quanto sancito dalla legge n. 115 del 1987, che ha sancito e riconosciuto la rilevanza sociale del fenomeno diabete. Il Piano si connota come un provvedimento “cornice” e si propone di dare omogeneità ai provvedimenti e alle attività regionali e locali, fornendo indicazioni per il miglioramento della qualità dell’assistenza che tengano conto dell’evoluzione registrata in ambito scientifico e tecnologico e dei nuovi modelli organizzativi diffusi in vaste aree del territorio12. Il Piano ha contribuito a consolidare il modello italiano di cura della malattia che consta, oltreché dei medici di famiglia, di una rete capillare di centri specialistici diffusi su tutto il territorio nazionale, basati su competenze multi-professionali (diabetologo, infermiere, dietista, talora psicologo e/o podologo, e secondo necessità cardiologo, nefrologo, neurologo, oculista) e che forniscono con regolarità consulenze per circa il 50% delle persone con diabete, prevalentemente, ma non esclusivamente, quelle con malattia più complessa e/o complicata. A tale proposito va sottolineato il ruolo dell’assistenza diabetologica nel ridurre la mortalità nelle persone con diabete: coloro che sono assistiti nei centri diabetologici hanno una minore mortalità totale e cardiovascolare rispetto a chi non li frequenta. Anche per questo il Piano Nazionale della Malattia Diabetica prevede una presa in carico di tutte le persone con diabete da parte dei centri diabetologici, con l’applicazione di una incisiva gestione integrata con i medici di famiglia9. Molto, dunque, si è fatto negli ultimi anni, anche se troppo poco per uno screening, diagnosi e cura efficaci. L’impegno non deve venire meno e ci auguriamo che anche il prossimo progetto della presa in carico dei pazienti cronici possa dare presto dei risultati positivi.