La degenerazione maculare legata all'età (DMLE) è una patologia cronico-degenerativa che aumenta con l'età ed è la prima causa di cecità legale negli ultra 55-enni nei pazienti industrializzati.(1)
Nella sua patogenesi sembrano implicati diversi fattori: genetici, infiammatori, ambientali, ma tuttora essa rimane non perfettamente chiara. L'inibizione dell'angiogenesi dei neovasi in corso di DMLE è la nuova frontiera sulla quale si sta sperimentando e studiando
Le terapie adesso in uso e di provata efficacia sono la fotocoagulazione laser per i casi di CNV extrafoveale e iuxtafoveale e la terapia fotodinamica con Verteporfina per le CNV subfoveali classiche o prevalentemente classiche.
La terapia fotodinamica (PDT) con uso di verteporfina (nome commerciale e venditore) è più selettiva rispetto al laser. La PDT deve essere ripetuta più volte perché sono frequenti le recidive con ricanalizzazione, leakage o crescita di nuovi vasi.(3) Questo effetto può essere causato dalla stimolazione della produzione non bilanciata del fattore di crescita endoteliale (VEGF) e del fattore derivante dall'epitelio pigmentato (PEDF) nelle cellule endoteliali coroideali dell'area trattata.(3-6)
In alcuni casi la terapia causa un danno dell'epitelio pigmentato retinico (EPR)
esitando in un'area d'atrofia.(3,7,8)
Pertanto le ricerche continuano e altre terapie sono in fase di sperimentazione, con l'obbiettivo prevalente di inibire
i processi di angiogenesi.
La neovascolarizzazione coroideale nella DMLE essudativa è caratterizzata dall'espressione di VEGF, di angiopoietina, di fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF), di fattore di crescita tumorale beta (TGF-ß) e da eventi come la coagulazione, l'infiammazione, l'angiogenesi e la fibrosi.
Normalmente la secrezione basale del VEGF e l'equilibrio tra fattori pro-angiogenici e antiangiogenici da parte dell'EPR mantengono il trofismo della coriocapillare, mentre nella DMLE, l'alterazione della membrana di Bruch fa venir meno questa funzione, con conseguente atrofia della coriocapillare, ipossia del neuroepitelio e stimolazione della produzione di VEGF.(9)
Nell'uomo esistono almeno 4 isoforme di VEGF secondo il numero di aminoacidi
contenuti, ma la più importante è il VEGF165.
Il VEGF presenta una serie di effetti proangiogenici come la vasodilatazione e l'aumento della permeabilità vascolare, il
rilascio di enzimi proteolitici di invasione e rimodellamento tessutale e la prevenzione dell'apoptosi endoteliale.
E' stato dimostrato che i valori oculari del VEGF aumentano e in maniera proporzionale al grado di crescita e
di leakage dei neovasi(10,11), e verosimilmente aumentano anche i suoi recettori della famiglia delle tirosin
chinasi: Flt-1, sulle cellule endoteliali vascolari, e Flk-1 che oltre che dalle cellule endoteliali sono espresse anche
dalle cellule tumorali e dai monociti.(12,13) L'interazione con questi recettori porta all'aumentata
permeabilità vascolare, alla proliferazione delle cellule endoteliali e al richiamo di monociti.
Da tempo, e non solo per la DMLE, si stanno cercando farmaci in grado di inibire il processo di angiogenesi per ciascuno dei passaggi della sua cascata, utili non solo per la DMLE e la retinopatia diabetica, ma anche come terapia contro i tumori. L'ultima novità arriva dagli USA ed è un farmaco antiangiogenico: il pegaptanib sodico (MACUGEN®).
Il pegaptanib è un aptamero, vale a dire un piccolo frammento di RNA sintetico, con conformazione tridimensionale e altamente specifica, che legandosi al VEGF165 le impedisce il legame con il proprio recettore e la conseguente formazione di vasi anomali e l'aumento della permeabilità vascolare. Pertanto questo farmaco potrebbe essere usato in tutte quelle malattie caratterizzate da crescita anomala di vasi ed aumentata permeabilità vascolare come la DMLE, la retinopatia diabetica, le occlusioni venose retiniche, la retinopatia del prematuro, i tumori, ecc. Gli aptameri hanno il vantaggio di non stimolare di solito la risposta immunologica e così sembra essere anche con il MACUGEN®.
Per impedire la degradazione del farmaco da parte delle endonucleasi e delle esonucleasi ed aumentare l'emivita del farmaco la molecola di pegaptanib è stata legata ad un gruppo di polietilene glicole (PEG).
Il MACUGEN® è fornito come soluzione acquosa senza conservanti contenente
pegaptanib sodico alla concentrazione di 0.3 mg/100µL, in siringa sterile monouso di 1 ml del tipo USP I con ago da
27 gauge, iniettando 0.1mL.
Oltre al farmaco la soluzione acquosa contiene anche cloruro di sodio, fosfato di sodio monobasico monoidrato, fosfato di
sodio bibasico eptaidrato, acido cloridrico, e/o idrossido di sodio per raggiungere un pH di 6-7.
Negli animali da esperimento sottoposti ad iniezione intravitreale di pegaptanib, esso è assorbito lentamente nella circolazione sistemica. Dalla velocità di questo passaggio dipende l'emivita del farmaco nel corpo vitreo, che negli animali è di circa 94 ore, mentre nell'uomo è di 347 ore. I risultati sul tempo di permanenza del farmaco nel vitreo giustificano una frequenza di somministrazione nell'uomo di una volta ogni 6 settimane.
Il farmaco è metabolizzato dalle eso- ed endonucleasi endogene e poi eliminato dal rene, come è risultato dagli studi preclinici sul suo metabolismo ed escrezione.
Sono stati condotti due trias multicentrici, controllati, randomizzati, a doppio cieco, che trattavano con Macugen
pazienti con DMLE neovascolare classica, occulta o mista, con dimensione fino a
12 diametri papillari, e con AV nell'occhio trattato tra i 20/40 e 20/320.(14) Circa 1200 pazienti di oltre 50 anni
sono stati trattati con dosaggi intravitreali di pegaptanib di 0.3 mg, 1 mg o 3 mg, oppure con placebo, ogni 6
settimane per 48 settimane per un totale di 9 iniezioni. In alcuni dei pazienti con CNV prevalentemente classica è
stata eseguita anche la PDT secondo la
discrezione del curante, per motivi di etica professionale. Dopo il primo anno di follow up 1050 pazienti sono stati
ri-randomizzati alla continuazione del trattamento o meno.
L'obbiettivo principale era la valutazione del numero di pazienti con perdita visiva minore di 3 linee a 1 anno
(15 lettere).
A 1 anno di distanza è stata dimostrata un'efficacia statisticamente rilevante per tutte e tre le dosi paragonate al
placebo per quanto riguarda la riduzione dell'AV a meno di 15 lettere (3 linee), la riduzione del rischio di
perdita visiva severa (riduzione di 30 o più lettere) e il numero di pazienti che hanno avuto un'AV stabile
o aumentata.
Il 70% dei pazienti (P<0.001) trattati con 0.3 mg, il 71% (P<0.001) dei trattati con 1.0 mg e il 65% (P=0.03)
del gruppo dei 3.0 mg, persero meno di 15 lettere all'AV rispetto al 55% del placebo.
Il rischio di una severa perdita visiva è stato ridotto dal 22% del gruppo di controllo a 10% (P<0.001), 8%
(P<0.001) e 14% (P=0.01) del gruppo dei 0.3 mg, del 1 mg e dei 3 mg, rispettivamente.
Il 33% (P=0.003), il 37% (P<0.001) ed il 31% (P=0.02) dei pazienti dei 3 diversi gruppi mantennero o guadagnarono
in AV, rispetto al 23% dei controlli, differenza che risultava statisticamente significativa.(14)
Si osservò una maggiore percentuale di pazienti trattati con PDT nei placebo rispetto ai gruppi trattati (rispettivamente
25% vs 19%), suggerendo un effetto benefico della terapia con pegaptanib e quindi una minore necessità di trattamenti
alternativi.
Il pegaptanib è in grado di indurre un rallentamento statisticamente rilevante rispetto al placebo, nella crescita
dell'area totale della lesione, nella grandezza della CNV e nel grado di leakage di tutte le lesioni, com'è stato
documentato con le angiografie.
Gli effetti collaterali più gravi che sono stati segnalati, associati a grave perdita visiva, erano: endoftalmite
nel 1.3%, cataratta traumatica iatrogena nel 0,7% e distacco retinico nel 0.6% dei pazienti.
Quelli più frequentemente riscontrati (10-40% dei pazienti) con dosi di farmaco di 0.3 - 3 mg erano: infiammazione della
camera anteriore, visione offuscata o ridotta, cataratta, emorragia congiuntivale, edema corneale, cheratite puntata,
secrezione, irritazione o dolore oculare, ipertensione, ipertono e opacità vitreali fluttuanti.
Nel 6-10% dei pazienti sono stati riscontrati casi di blefarite, congiuntivite, fotopsia, bronchite, diarrea,
cefalea, nausea e infezioni del tratto urinario.
Più raramente, nel 1-5% dei pazienti sono stati segnalati altri effetti collaterali, di solito modesti. Non sono note
manifestazioni anomale a lungo termine.
Nei pazienti con insufficienza renale, specialmente se severa, sono stati riscontrati valori di emivita plasmatica
altamente variabili per le iniezioni intravitreali di 3 mg. Non ci sono dati per quanto riguarda i pazienti sottoposti ad
emodialisi o con epatopatie.
Fino ad ora non ci sono studi sulle donne in gravidanza, in allattamento o sui bambini; pertanto si consiglia particolare attenzione e valutazione del rapporto rischio/beneficio.
Il farmaco si conserva in una temperatura tra i 2°C e gli 8°C. Si inietta a temperatura ambiente, pertanto si consiglia di toglierlo dal frigo 30 minuti - 4 ore prima dell'uso.
Il MACUGEN® si deve iniettare rispettando tutti gli accorgimenti di asepsi e sicurezza pre-, intra- e postoperatori che si usano per ogni iniezione intravitreale. La frequenza di somministrazione è stata stabilita essere di una volta ogni 6 settimane.
Il farmaco è oggi disponibile anche in Italia ad un prezzo di circa 800 euro ed ha una indicazione per la degenerazione maculare senile.
I risultati ad un anno degli studi clinici multicentrici, randomizzati, a doppio cieco, sono promettenti. Tuttavia
rimangono da accertare gli effetti a lungo termine e la compliance del paziente, essendo questa una terapia da
somministrarsi ogni 6 settimane.
La scoperta di una nuova terapia offre anche la possibilità di usufruire del maggior effetto positivo di trattamenti
combinati.
La combinazione della terapia fotodinamica con l'iniezione intravitreale di pegaptanib sodico ed eventualmente con gli
steroidi intravitreali, oltre a sommare gli effetti benefici di azioni diverse (riduzione di un eventuale distacco
dell'EPR, chiusura dei neovasi, e contrasto dell'aumento secondario di VEGF), potrà sicuramente permettere
risultati migliori e più duraturi, con la conseguente riduzione della frequenza di somministrazione.
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