La degenerazione maculare senile è la causa più frequente di cecità legale nei paesi industrializzati dopo i 50 anni. La forma umida della malattia è caratterizzata dalla formazione di neovasi che tendono a diffondere liquido nella retina e a provocare emorragie con calo visivo importante. Prima di parlare delle terapie future è opportuno considerare quelle attuali sia per la loro efficacia sia per la loro recente applicazione in oftalmologia. Attualmente la terapia più opportuna e regolamentata dalle normative ministeriali è l’iniezione intraoculare con ranibizumab (Lucentis) un inibitore di tutte le isoforme del fattore di crescita vascolare (VEGF-A). Gli studi controllati e randomizzati hanno rilevato come una iniezione mensile sia in grado di stabilizzare la malattia e in circa il 40% dei casi di migliorare la vista. Attualmente viene utilizzato in alcuni casi anche il bevacizumab (Avastin) ma in modo off-label cioè contro le indicazioni del farmaco che prevedono il uso solo nel tumore del colon, anche se non esistono studi randomizzati a riguardo. Lo studio CATT di comparazione tra i due farmaci non evidenzia differenze sostanziali come miglioramento visivo anche se sembra che il Lucentis dia risultati migliori con diminuzione dello spessore all’OCT ed un minor numero di iniezioni dopo un anno. Inoltre il Lucentis ci dà migliori garanzie riguardo alla sterilità. Attualmente l’Avastin generalmente non può essere più utilizzato dal punto di vista medico-legale se non per i suoi bassi costi. Comunque al di là delle valutazioni di risultato tra i due farmaci è opportuno valutare le terapie che si affacciano all’orizzonte.
La proteina che provoca la formazione di neovasi è il VEGF (Fattore di crescita neovascolare), stimolata da fattori ischemici, infiammatori o degenerativi. La quantità di VEGF è regolata dalla presenza della rapamicina (mTor) che controlla la crescita e la proliferazione cellulare e i fattori di controllo post ipossia (HIF). Molti dei nuovi farmaci in sperimentazione (Sirolimus, Everolimus, Palomid 529) sono inibitori del mTor. Altri studi stanno valutando l’infliximab (Remicade) e il daclizumab (Zenapax) soprattutto come antinfiammatori. Le vie di somministrazione sono diverse (orale, intravitreale, endovenosa o sottocongiuntivale). Altre terapie cercano di bloccare i legami del VEGF con i siti recettoriali. Il VEGF Trap è giunto alla fase III di sperimentazione clinica che sembrerebbe avere ottima efficacia con un numero di iniezioni dimezzato rispetto al Lucentis. Sono presenti studi che cercano di bloccare la tirosin-kinasi con interruzione del segnale ai recettori del VEGF. Il Vatalinab dato oralmente ha questa funzione ed agirebbe soprattutto in associazione al Lucentis. Il Pazopanib è un inibitore topico della tirosin-kinasi che inibisce anche il fattore di crescita legato alle piastrine. Il suo punto di forza è soprattutto la via di somministrazione come collirio.
Tutte le terapie hanno l’obiettivo di bloccare il VEGF, ma ormai sappiamo che questo non è l’unico fattore di formazione della neovascolarizzazione. Inoltre esiste un meccanismo a cascata che, partendo da un segnale di stimolo angiogenetico, porta alla formazione dei neovasi ed al loro consolidamento e maturazione nella retina. L’angiogenesi è pertanto un meccanismo di bilanciamento ed equilibrio tra fattori pro e contro. Un fattore importante anti angiogenetico e neuro-protettivo è il PEDF derivato dall’epitelio pigmentato retinico, il cui livello è più basso in questi casi. Pertanto una terapia che comporti un alto dosaggio del PEDF può essere opportuna. Una altra categoria di farmaci è legata alla modulazione della proliferazione e migrazione delle cellule endoteliali. Inoltre, considerando che lo stadio finale della formazione vascolare è lo sviluppo dei periciti vascolari regolato dal fattore di crescita piastrinico–B, una sua modulazione con farmaci come l’E10030 associato al lucentis intravitreale e attualmente in fase II, può essere utile. Infine si è visto che varianti genetici nella cascata del complemento possono influire sullo sviluppo della malattia, e molti di questi studi sono indirizzati alla forma non neovascolare della malattia. In conclusione possiamo affermare che i meccanismi di formazione della neovascolarizzazione sono complessi e non perfettamente capiti. Pertanto se da un lato abbiamo attualmente farmaci efficaci nel controllare la forma vascolare della degenerazione maculare dall’altro abbiamo casi non responders che probabilmente alla base hanno meccanismi diversi. Appare pertanto auspicabile avere a disposizione altri farmaci anche per diminuire il numero di applicazioni e pertanto rischi e costi.